Quando il rugby fa scuola: parola a Chiara Nocentini
Abbiamo intervistato Chiara Nocentini per avere un quadro preciso del lavoro di propaganda scolastica del Gispi su tutto il territorio pratese. Una chiacchierata per capire come lavorano gli educatori in una fascia d’età molto delicata del minirugby.
Ciao Chiara, puoi descrivere che ruolo ricopri al Gispi?
Sono responsabile del Progetto Scuola che comprende i corsi di minirugby negli istituti pubblici e privati della città di Prato, mi occupo di fare la responsabile della categoria Under 6 del Gispi e insieme ad Edoardo Lanzarini coordino il Gispi Summer Camp.
Sei una veterana del gruppo allenatori. Puoi spiegarci come si è evoluto il tuo ruolo nel corso degli anni?
E’ il nono anno che sono al Gispi. Ho iniziato a fare l’educatrice perché mi è sempre piaciuto il rugby e tutto il complesso dei valori che porta con sè, in più studiavo Scienze Motorie e cercavo un’attività sportiva pratica per accumulare esperienza. Sono partita rapidamente con Marco Visintin ed Enrico Romei affiancandoli nella conduzione delle categorie under 6 ed under 8 per poi essere sempre più coinvolta nei progetti scuola e in tutte le attività del club. Credo di essere cresciuta sul piano relazionale e caratteriale, anche se il percorso di un educatore è in continua evoluzione. All’inizio avevo qualche difficoltà nel lavorare in uno sport che non conoscevo a fondo, anzi venendo dalla danza ero un po’ impacciata, ma nonostante questo mi piaceva stare con i bambini ed ho continuato a lavorare su di loro e soprattutto su me stessa.
Come funziona il progetto scuola?
Operiamo su circa 50 scuole di infanzia e circa 40 scuole primarie della Provincia di Prato. In pratica mandiamo un documento di proposta alla scuola durante il periodo estivo e se l’Istituto aderisce, da settembre iniziamo un pacchetto ore che avvicina i bambini alla conoscenza del rugby sotto forma ludico motoria. Abbiamo un format consolidato che facciamo rispettare a tutti gli Educatori coinvolti nel progetto e che si fonda su tre principi. Chi lavora con Gispi nelle scuole deve dare priorità al gioco in sicurezza, a facilitare l’apprendimento, a rendere il rugby un momento di festa per tutti i bambini. Rispettando questi parametri poi ogni educatore ha il suo spazio operativo per rendere la lezione a scuola più efficace e personalizzata. Il nostro obiettivo finale è quello di portare i bambini sul campo da rugby, ma se già riusciamo a propagandare la cultura dello sport negli istituti scolastici, allora abbiamo compiuto un importante passo in avanti.
Quali sono le difficoltà a cui devi far fronte?
Il minirugby è uno sport complesso. Oltre allo scoglio del contatto fisico, che comunque facciamo vivere in maniera morbida e progressiva, ci sono due aspetti su cui possiamo lavorare per rendere più fluido il percorso di avvicinamento del bambino. Il primo è nella relazione con il genitore. Spesso infatti realizziamo delle cosiddette “Lezioni Aperte”, in cui i bambini giocano e i genitori assistono o partecipano attivamente alle attività ludiche. In quei momenti è difficile entrare in perfetta sintonia con il genitore e magari ottenere un contatto telefonico o mail per poterlo tenere aggiornato sulle nostre attività. Il fatto che si possa giocare con lo stesso divertimento anche fuori dal contesto scuola è ancora visto come un tabù e il contatto non viene lasciato nella paura di ricevere richieste insistenti o di coinvolgere il bambino in uno sport con agonismo troppo pronunciato. Il secondo aspetto critico invece è di natura strutturale. Pur sforzandoci nel giocare in sicurezza ci sono delle scuole e delle palestre in cui è difficile fare rugby.
Il tuo è un lavoro quasi decennale. Possiamo dire di aver creato una vera e propria scuola educativa Gispi?
Dopo nove anni il progresso del club è evidente. Prestiamo grande attenzione nel formare i profili che poi interagiscono con i bambini. Riunioni, incontri e corsi di formazione sono attività che ci vedono coinvolti tutta la stagione, sia in veste di uditori che di formatori. Lo sviluppo del club è una componente altrettanto utile per definirci come scuola educativa. Da quando sono al Gispi la società è cambiata molto e adesso abbiamo una club house e una struttura sportiva che ci consente di far vivere il rugby in tutte le sue forme anche fuori dal campo.
Qual è la tua sfida più grande?
Mi piace lasciare il segno in ogni bambino. L’ allenamento è una sfida costante in cui mi sforzo di appassionare i piccoli mini rugbisti che vengono sul campo. Cerco di rendere ogni gispolotto autonomo dai genitori e parte di un gruppo, nella speranza che queste emozioni rimangano indelebili anche quando il bambino sarà un uomo.
Dove ti vedi fra 10 anni?
Mi vedo ancora in under 6 e mi vedo protagonista di un progetto scuola sempre più evoluto. Finchè ho gli stimoli e la voglia di stare in campo non penso a cambiare scenario, piuttosto ambisco a migliorare le mie competenze per offrire un’esperienza sportiva sempre più completa.
Quanto è difficile ottenere fiducia dai genitori dei piccoli rugbisti?
Più che difficile, è un processo lungo. I rapporti genitore – insegnante sono cambiati un po’ in tutti i contesti sociali e i bambini di 3, 4, 5 anni con cui lavoriamo sono oggettivamente piccoli, quindi non sempre è facile spiegare ad un genitore quali sono i limiti entro cui può agire e intervenire. Cerchiamo comunque di mettere alcune piccole regole mirate al raggiungimento dell’autonomia del bambino rispetto a mamma e babbo. Dalla partecipazione al terzo tempo fino alla gestione delle “bizze” in campo, siamo noi educatori ad occuparci delle soluzioni. Conquistare la fiducia non è un processo immediato, ma con pazienza e positività ci arriviamo.